ANTONIO POCE
Visual Artist
Il Bello è nella vista, nell’udito,
nella combinazione delle parole e nella musica.
(Plotino)
«Tutta intera la visione che sconvolge le potenze e i sensi…»
(Teresa d'Avila, Castello interiore, 9,10)
Tra gli innumerevoli discorsi sulla Bellezza esplorati (prevalentemente sul vesante dello sforzo creativo), tra entusiasmi e passioni, delusioni e slanci incontenibili, il pensiero di Agostino è divenuto negli anni sempre più imprescindibile per la mia attività artistica. La sua prosa rovente (a tratti lancinante), una esperienza del mondo a dir poco esuberante, e le poderose riflessioni sulla memoria e sul tempo, hanno reso la sua presenza non più soltanto attraente e autorevolissima, ma assidua e, oserei dire, anche amichevole.
Lo studio della musica è stato il cuore della mia formazione visiva. La natura sottile e sfuggente del suono mi ha addestrato all'affinamento non separato delle qualità percettive. Il pensiero musicale sa del tempo e della morte, ed essendo pressoché estraneo al disagio delle secche concettuali, ha arricchito un patrimonio cognitivo risultato poi decisivo nell'incitare la mia produzione intermediale.
Nelle mie opere le abilità tecniche e le esperienze polisensoriali sono intimamente connesse, avendo da tempo configurato la mia scrittura ai paradigmi dell’intuizione analogica. La pluralità del sistema percettivo umano, multicanale e naturalmente integrativo, tende a coinvolgere tutti i sensi, anzi l’intero corpo, in una illuminazione totale che avvertiamo come desiderio di complessità. Tutto ciò ha impresso una mutazione profonda
nei canoni generativi tradizionali e, riconiugando codici e linguaggi (da troppo tempo frammentati), ha dato origine a nuove sintassi e a nuovi schemi compositivi.
Novalis scriveva: «Tornerà l’Età dell’Oro, quando tutte le parole, le rappresentazioni, i miti, e tutte le figure del linguaggio, saranno diventati geroglifici». Il ritorno alla lingua originaria che tutto comprende (la lingua di Dio) è infatti un’antica aspirazione degli uomini: dalle caverne di Altamira e di Lascaux, al Coro della Basilica di Montecassino, registriamo la medesima tensione alla molteplicità e all'espressione complessa.
Confessiones è testimonianza di una lunga anàbasi, la quale risale i canali delle sintesi poetiche, nel sogno di raccogliere i nessi della sapienza antica e avvicinare il nitore della contemplazione mistica, lontano dai perversi integralismi della dialettica e dalle miserie della cultura antagonista.
Dopo trent'anni continuo a immaginare figure d’oro e di luce, ad integrare forme in una liquidità amniotica che sottrae peso alla materia e allontana ansie e oscurità dal processo creativo. Continuo allora ad affidare al ritmo l'eccitazione di idee simultanee non meno che la difesa delle stesse da ogni calcificazione logica, confidando di riscoprire, nella visione espansa, il respiro congiunto di Anima e di Corpo.
Antonio Poce