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Antonio Poce è un indomabile ricercatore. Demolitore compulsivo di luoghi comuni e di recinti abusivi. Detesta i confini fra le arti, specialmente quelli che molte anime tremule continuano ad offrire alle proprie cagionevoli certezze.
Al paracadute preferirebbe perfino lo schianto, se i lanci mirassero ad elimi-nare ogni rigidità mentale e, possibilmente, alla ricostruzione metafisica del corpo.
Una certa abbondanza addominale rivela, oltre ogni ragionevole dubbio, i territori preferiti per le sue sperimentazioni. Molto note agli amici sono le infinite variazioni sul riso basmati.
Non prova disagio trovandosi fra l’incudine e il martello. Più disposto a comprendere la prima piuttosto che interpretare le ragioni del secondo, nella sua totale idiosincrasia per ogni forma di violenza.

Possiede l’ottimismo (spericolato, ovviamente) del funambolo, unito alla ragionata intuizione del rabdomante, qualità che coltiva con dedizione assidua e dispiega alacremente nelle sue molteplici attività creative. Poiché non pochi, e spesso insospettabili, sono i suoi talenti.

Confida nel prossimo, come chi è nato povero, estraneo alle pulsioni dell’avidità e del possesso.
Non nasconde ai suoi studenti le innumerevoli insidie della scrittura. Perciò consiglia il lavoro mattutino, quando l’orecchio è più vigile e il mondo più silente.
Si distingue per l’energia, apparentemente inesauribile, che infonde in ogni sua attività.
Confidiamo che la Fortuna, sua preziosa alleata, non gli volti mai le spalle.

                                                                         Giampiero Gemini  e  Valerio Murat

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