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Per Tonino Poce il colore è un altro modo di rivelare la rapidità. Per questo, credo, la prima sensazione avuta nel guardare le sue opere pittoriche è stata quella di sentirmi risucchiato in una sorta di vortice che, con vertiginosa accelerazione, mi trasferiva da una dimensione concreta, materiale a un luogo metafisico, retto da trame misteriose e sospeso su equilibri matematici e geometrici.
È un luogo che si apre alla nostra visione solo se ci lasciamo tentare, senza sottrarcene, da questa sfida della velocità; si tratta di correre nello stesso momento in avanti e indietro, verso su e verso giù, per accorgersi che grazie a questa prova il mondo può essere percepito nella sua straordinaria unità di qui e altrove, di passato e di futuro, di parola e immagine, di colore e musica.
Tonino è un artista dalle connessioni inaspettate. Ogni opera della sua multiforme attività artistica (musica, grafica, esercizio calligrafico, elaborazione audiovisiva) non posa mai sul significato ma lo sollecita, come in un esperimento atomico, a scindersi in altri significati grazie a un segno che cerca di sintetizzarne tanti altri, meno evidenti ma di cui ci dimostra, alla fine del percorso, la essenzialità.

Nei suoi quadri, lo slittamento inizia dalla scelta del supporto (carte preziose e lavorate) che ha storie e trattamenti già densi di valore semantico, prosegue nel mescolato dei colori e nella manipolazione degli arnesi per stenderli (un pennello non è mai definitivamente un pennello), si irrigidisce nel gioco di cordicelle, apparentemente cordoncini solo esornativi, che mettono in relazione la superficie e il suo oltre, suggerisce una lettura con le parole di testi della tradizione sapienziale neoplatonica (o che è intrisa del suo umore), sospinge chi guarda a ricominciare il giro della sfera arricchiti, come nel percorso della dialettica classica, del senso e del sapere del cammino precedente.
Succede anche nella sua musica. Ricordo ancora l’emozione provata ascoltando il suo rifacimento dell’Inno dei lavoratori, per l’occasione della celebrazione dei 150 anni dell’Unità d’Italia. Era un inno politico, ma diventò anche il canto religioso di una processione accompagnata da una banda, e una sperimentazione di rumori, note e strumenti futuri. Il viaggio di una memoria proiettata a tutta velocità verso il domani, sfidando ogni vertigine.

                                                                                                 Tarcisio Tarquini 

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